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Italia e Cina a confronto: la tutela per l'imitazione delle forme

Un interessante approfondimento in materia di tutela per imitazione servile delle forme nella giurisprudenza dei due paesi 13 aprile 2016

Alla luce delle più recenti pronunce giurisprudenziali dei giudici Italiani e Cinesi in tema di imitazione servile delle forme, è interessante fare un parallelo fra le due normative locali e la loro applicazione.

Fra i due sistemi è possibile rilevare delle analogie per certi versi e delle differenze per altri. La prima, e sicuramente non trascurabile, differenza a livello normativo, fa si che l’applicazione in Cina della fattispecie di imitazione servile sia fortemente limitata, è data dal fatto che in questo Paese è richiesto un requisito di applicabilità ulteriore rispetto al nostro ordinamento, ovvero che la forma del prodotto sia notoria in tutto il territorio della Repubblica Cinese.

In Italia, la tutela offerta dall’art. 2598 c.c. richiede l’esistenza di elementi sia soggettivi che oggettivi, quale ad esempio il fatto che la forma sia dotata di capacità distintiva.
Nel caso in cui si tratti di una forma non protetta da registrazione, la parte che voglia far valere l’imitazione servile dovrà dar prova di una notorietà qualificata attraverso la produzione di tutta la documentazione che possa aiutare a desumere un uso della forma sul mercato, come ad esempio investimenti pubblicitari, partecipazioni a fiere, ecc.
Un interessante e recente orientamento giurisprudenziale italiano, fortemente protezionista in tema di forme, tende a riconoscere l’applicazione della fattispecie di imitazione servile anche a quelle forme prive di capacità distintiva e, quindi, anche in assenza di rischio di confusione per i consumatori.

L’ordinamento Cinese, dove la norma di riferimento per l’imitazione servile è l’art. 5.2 della legge contro la Concorrenza Sleale, prevede analogamente che, per l’applicabilità della fattispecie, la forma imitata sia distintiva e che l’atto di imitazione possa indurre in confusione il consumatore.
Al contrario della giurisprudenza italiana, quella Cinese, di fronte alla necessità di ampliare la protezione delle forme anche ai casi in cui non ricorra il rischio di confusione, ha continuato ad applicare rigidamente le norme, negando che ricorresse la fattispecie di concorrenza sleale.

Volendo fare degli esempi pratici che chiariscano la differente impostazione dei giudici Italiani e Cinesi, si pensi ad una recente decisione del Tribunale di Milano chiamato a pronunciarsi sulla presunta contraffazione di segni distintivi non registrati, sulla sussistenza di atti di concorrenza sleale e sulla violazione del diritto d’autore che a dire dell’attore copriva i suoi prodotti (ponti elevatori). Ebbene, in tale decisione, i giudici italiani non hanno esitato a riconoscere l’imitazione servile anche in assenza di capacità distintiva delle forme imitate. La parte avversaria, infatti, attraverso la riproduzione di caratteristiche dei ponti elevatori dell’attrice, che non possono dirsi necessitate né funzionali, ma che al contrario appaiono arbitrarie e discrezionali (e che avrebbero ben potuto essere facilmente variate), a dire dei giudici italiani, ha costituito imitazione dei prodotti e dei segni distintivi azionati.

In un caso analogo sono stati chiamati a pronunciarsi i giudici della Corte Popolare di Shangai, i quali oltre ad aver ritenuto le prove prodotte insufficienti per il riconoscimento della notorietà della forma, si sono espressi negativamente anche sulla sussistenza dell’imitazione servile. La Corte ha, infatti, ritenuto che le decorazioni del prodotto (sensore laser per il controllo del filo) non fossero sufficientemente particolari e dimostrassero una scarsa creatività e per questo non le ha ritenute proteggibili come privilegio esclusivo dell’attore.

Contrariamente, il rischio sarebbe stato di restringere irrimediabilmente la concorrenza nel settore di riferimento, a danno dell’innovazione, e non avendo il prodotto raggiunto un adeguato livello di popolarità non è stato ritenuto sussistente un rischio di confusione.

In estrema sintesi, ed alla luce di tutto quanto sin qui detto, è più semplice ottenere protezione per una forma non registrata in Italia, grazie all’iper-protezionismo dei giudici, piuttosto che in Cina dove i giudici sono molto più rigidi nell’applicazione letterale delle norme.

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