FOCUS

Concorrenza sleale

Rapporto di concorrenza

Si ha rapporto di concorrenza allorché due o più imprese, in un determinato periodo, offrano (o domandino) o possano offrire (o domandare) beni o servizi suscettibili di soddisfare, anche in via succedanea, lo stesso bisogno, o bisogni simili o complementari, nel medesimo ambito di mercato attuale o immediatamente potenziale. Per l'applicazione della disciplina di cui agli artt. 2598 c.c. e seguenti, è necessario che esista un rapporto di concorrenza economica tra i soggetti attivo e passivo della condotta prevista dai citati articoli, nonché la qualifica di imprenditore.

Patto di limitazione

Tra imprenditori può essere sottoscritto un patto di limitazione della concorrenza, ma detto deve essere territorialmente circoscritto e non può eccedere una durata di 5 anni. Tale patto, per essere invocato in caso sorgano controversie, deve risultare da atto scritto.

Diritto di fornitura

Nel caso in cui un'impresa operi in regime di monopolio, essa ha l'obbligo di non fare discriminazioni tra coloro che richiedono le prestazioni che formano oggetto dell'impresa. Il trattamento deve essere paritetico per tutti i richiedenti.

Tipologia di atti sleali

Gli atti di concorrenza che possono essere definiti sleali, ferme restando le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, sono stati suddivisi, nell’art. 2598 c.c., in tre grandi classi. Nella prima classe troviamo:

  1. l'abuso dei nomi e dei segni distintivi altrui;
  2. l'imitazione servile dei prodotti di un concorrente;
  3. il compiere, con qualsiasi altro mezzo, atti idonei a creare confusione con prodotti e/o con l'attività di un concorrente.

L'utilizzazione scorretta di segni distintivi altrui presuppone che vi sia una reale situazione di concorrenza tra il titolare del segno imitato e l'imitatore, e quindi solo quando il titolare del marchio l'abbia usato in modo da comportare la notorietà del segno in un ambito territoriale coincidente con quello dell'attività del contraffattore e per prodotti identici od affini a quelli di quest'ultimo.

Rientrano nella diffusione di un comunicato di una manifestazione il marchio del concorrente come unico sponsor; il sistematico parcheggio di automezzi recanti indicazioni reclamistiche della propria impresa innanzi ai locali di un concorrente; la condotta di chi si dichiari falsamente agente di un concorrente, ecc.

Queste ipotesi vietano comportamenti suscettibili di incidere sulle scelte dei consumatori e tali per cui detti vengono indotti ad imputare determinati prodotti, attività o servizi, ad un imprenditore diverso. Va tenuto presente che qualora i prodotti o i servizi siano diretti ad altre imprese è difficile poter dimostrare che detti comportamenti siano tali da indurre a creare la convinzione che la provenienza sia differente.

Per accertare la confondibilità tra due prodotti si deve por mente al consumatore medio la cui attenzione è naturalmente attratta dall'aspetto complessivo dei prodotti, in quanto egli non ha la capacità di discernere in essi gli elementi similari leciti da quelli maliziosamente introdotti a scopo confusorio. L'esame deve essere fondato su aspetti oggettivi e, per quanto concerne l'imitazione servile, deve trattarsi proprio di servile imitazione. Inoltre l'esame deve tener presente che le eventuali forme necessitate non possono far parte di un'azione di imitazione. In Italia non è perseguibile un'imitazione di secondo grado, cioè l'imitatore dell'imitatore non può essere perseguito dal primo imitatore.

Nella seconda classe troviamo:

  1. la diffusione di notizie ed apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, notizie ed apprezzamenti idonei a concretizzare un discredito;
  2. l'appropriazione di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente.

Nella terza classe troviamo l'utilizzo di mezzi sleali e scorretti per danneggiare l'altrui azienda. I provvedimenti giurisdizionali sono prossimi a quelli trattati per i brevetti di invenzione industriale.

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